I giovani sono sempre più sfiduciati dalla politica, che vedono come un’entità astratta e lontana dalla realtà. Quest’ultima tende a giudicare le nuove generazioni come composte da facinorosi, viziati e schiavi della tecnologia grazie alla quale non fanno più alcuna fatica. Tuttavia nei recenti appuntamenti elettorali sono stati i candidati anagraficamente più giovani a fare la differenza, tramite le loro proposte, e ad attirare pertanto un grande consenso: basti pensare al sindaco di Vicenza, Giacomo Possamai, e ai candidati alle Elezioni Europee, Carlo Pasqualetto e Valeria Mantovan. Eppure questo non è sufficiente per convincere l’attuale classe dirigente del fatto che abbiamo dei giovani brillanti, in grado di cambiare la scena politica italiana.

Difatti i giovani rimangono vittime del preconcetto per cui non avrebbero esperienze e strumenti necessari per occuparsi della cosa pubblica in maniera soddisfacente. Da questo deriva che sempre meno giovani si interessino alla politica e non vadano a votare. Sono convinti che nessuno sarà mai in grado di occuparsi di loro. Alla luce di quanto detto, da dove dovrebbe iniziare la nostra classe dirigente per invertire questa pericolosa e improduttiva tendenza?

Dall’azione più semplice, ma anche efficace per ogni politico: ascoltare senza pregiudizi la popolazione più giovane. Questo confronto non deve essere fine a sé stesso ma fatto in prospettiva con la convinzione che le idee dei giovani possano veramente cambiare le sorti di questa società. Senza voler impartire lezioni, ma accompagnandoli nel loro percorso di crescita. Si scoprirebbe un mondo fatto di inventiva e di strumenti in grado di cambiare il modo di vivere e fare politica.

All’attività di confronto e ascolto va affiancato un pacchetto di misure finalizzato ad agevolare l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, tramite la valorizzazione di ogni abilità e in linea con i diversi tessuti lavorativi presenti nel territorio. Basti pensare al Veneto in cui vi è una considerevole presenza di attività artigianali e industriali, ma non vengono adottate misure per valorizzare la formazione di giovani in attività manuali con conseguente migrazione degli stessi verso realtà lavorative maggiormente attrattive.

Peraltro non va trascurata l’attenzione al benessere psicologico dei nostri ragazzi, insegnando loro la nobile arte della sconfitta: un esame non passato o il non trovare subito il lavoro su misura per te non ti rende un fallito, ma semplicemente un individuo a cui stanno capitando delle esperienze di cui tenere conto per arricchire il proprio bagaglio personale.

Solo se la politica saprà fare sintesi di questi tre aspetti, ascolto-valorizzazione-supporto, i giovani potranno sentirsi nuovamente considerati dalla res pubblica ed esserne protagonisti.