Uno dei pochi pregi dell’ultimo, travagliato, anno, dovrebbe essere rappresentato da una maggiore consapevolezza circa la natura e gli obiettivi dell’essere umano. L’aver incontrato di nuovo, infatti, proprio sulla soglia di casa la realtà della guerra induce a sperare sia servito ad aprire gli occhi anche ai più ostinati. L’Homo Sapiens non è affatto l’individuo naturale che mira solo all’autoconservazione, mitigata dall’istintiva empatia verso i propri simili, dell’Émile di Rosseau. La sua corruzione non è dovuta alla cattiva pedagogia di una società malata. Il principio di divaricazione tra natura del singolo e collettività, così subdolamente introdotto, è un colossale abbaglio. Anche se ha goduto d’immensa fortuna. È stato alla base dell’analisi illuminista, come poi di quella dei suoi epigoni. Dall’utilitarismo liberale di Bentham e Mill al socialismo mutualista dalle forti venature anarchiche di Proudhon, dall’anarchismo comunista di Kropotkin al comunismo autoritario di Marx e Lenin, dal liberalismo di von Hayek all’ecologismo libertario di Bookchin. Il risultato è stata la convinzione che, in buona sostanza, agendo opportunamente sui meccanismi sociali, meglio se individuati nelle pieghe della storia come sue leggi inesorabili, e con una dose di sana educazione del singolo si potessero davvero cambiare le cose. L’età dell’oro, in definitiva, poteva tornare.
Sulla sponda filosoficamente opposta, la riflessione autoritaria ha prodotto, invece, una semplificazione brutale: il pessimismo radicale sull’incapacità di autogovernarsi degli individui, costretti comunque a stare in comunità, ha generato l’esaltazione della figura del sovrano, che pone fine a dispute drammatiche e senza fine. Solo se incarnata in un individuo, la Legge sarà applicata come indispensabile. Da Marsilio a Hobbes, sono molti e importanti i pensatori che le hanno dato voce. Senza, però, dimenticare l’insidiosa pericolosità del concetto di «diritto positivo», introdotto da Kelsen per difendere la democrazia, ma suscettibile di vari e spesso impropri utilizzi.
Quale età dell’oro, viene però da chiedersi. Perché proprio la storia correttamente utilizzata, e non declassata all’inutile ferrovecchio dello storicismo condannato da Popper, dimostra al contrario che non è mai esistita. Lo stesso strumento, poi, smantella le curiose elaborazioni che furono già di Platone e della sua scuola, trovando poi linfa moderna nelle riflessioni di Kant, Fichte e quindi Hegel, per arrivare a un principio unificatore del reale e quindi della conoscenza umana, cioè quanto è alla base delle scienza contemporanea. Un bel guaio, quando tutto, invece, spinga a prendere in considerazione la direzione opposta. Se il Caos e non l’Uno ordinatore, ritornando per il concetto a Plotino, fosse la risposta? Il cristianesimo, sulla scia dell’ebraismo e influenzando anche sotto tale aspetto la concezione musulmana, si è aggrappato alla fede. Come dire, il principio unificatore è collocato in un Abisso inconoscibile, semplicemente da accettare come postulato, il resto vien da sé.
Tutto ciò conduce con singolare coerenza alla conclusione che, per estirpare quanto di sbagliato perché malvagio esista sul Pianeta, in buona sostanza si debba agire sui due piani appena ricordati, educazione e meccanismi sociali. In fondo, nulla d’impossibile. Si tratta solo di rendere innocui i renitenti e modificare con le opportune riforme politiche la produzione sociale. Cioè attivare il Leviathan di Hobbes oppure, con una sana rivoluzione, eliminare i primi e capovolgere la seconda. Rileggere Impero di Toni Negri e Michael Hardt, volume del 2003, è quanto mai interessante. Dimostra il radicamento di certi preconcetti e dimostra come a fare previsioni ci si sbagli sempre: oggi assistiamo all’agonia della Globalizzazione e non certo al suo definitivo trionfo mondiale. Infatti siamo davanti a una Pandemia di Guerre e l’Impero si sgretola. Il tutto per una banale ragione, ben illustrata dalla storia e mai compresa dai filosofi: la pace, l’ordine, è stata imposta in ogni tempo e luogo dalla forza militare organizzata di un egemone; la guerra, il disordine, riprende il sopravvento quando l’egemone perda tale forza o venga anche solo percepito come debole e abbattibile. I suoi concorrenti, fino a quel momento messi a tacere dalla paura della sua reazione, sollevano la testa e ambiscono a un solo obiettivo: sostituirsi al rivale nell’egemonia. Tanto in ambito locale che su scala mondiale. Pianure ucraine e Stretto di Taiwan sono lì a dimostrarlo. Putin e Xi Jinping l’hanno detto e ripetuto fino alla nausea.
Nell’intera storia, tralasciando miti e idealizzazioni di ogni tipo quindi, è sempre andata in questo modo. Siamo di fronte a una legge inesorabile? Hobbes aveva ragione? Di sicuro l’inglese aveva intuito, e il tedesco Stirner ancora meglio di lui, la natura dell’Homo Sapiens, un specie che preferisce prevalere tra le macerie piuttosto che godere, condividendolo con altri, un qualunque vantaggio. Niente gli dà maggiore soddisfazione della vittoria. A qualunque prezzo. Se la storia lo prova, la cronaca lo ricorda ogni giorno. Si tratta del punto da cui partire per capire, innanzitutto, quanto succeda un po’ ovunque. Perché la situazione di pace rappresenta più che mai l’eccezione e non la norma sulla Terra. Tra guerre dichiarate, in atto anche se mascherate da «operazioni militari speciali», convenzionali, ibride, non-convenzionali, rivoluzionarie, terroristiche, informatiche, la realtà «multi-dominio», cioè terra-acqua-aria-spazio-cyber-cognitiva, è caratterizzata dal conflitto. Quindi, nessuna meraviglia, l’Homo Sapiens continua imperterrito a percorrere la stessa strada.
Accettando tale punto di vista, si potrebbe dedurre l’inutilità di ogni fatica. Un atteggiamento, in fondo, figlio della stessa deriva che ha portato al successo le tante teorie unificatrici succedutesi nel tempo. Se non è Uno, mi arrendo, pertanto. Perché? E se l’Uno non fosse propriamente tale, ma una sorta di mosaico composto da un Molteplice d’infinite tessere, ognuna delle quali è, al pari di un frattale di Mandelbrot, dotata della caratteristica di base per cui:
There is one mind common to all individual men. Every man is an inlet to the same and to all the same. He that is once admitted to the right of reason is made a freeman of the whole estate?[1]
Fosse così, potremmo spiegare come mai l’Homo Sapiens funzioni come la storia dimostra, armonizzandone la natura con le evidenze del Caos, così come individuate dalla Teoria della Complessità, tanto a livello di società umane che di processi cosmici. Vale a dire, prima dobbiamo capire, poi riflettere, infine agire. Per riuscirci, è necessario un diverso punto di vista. Se non altro per l’ottima ragione che quanto messo in campo finora ha, con ogni evidenza, fallito. Non ha, quindi, alcun senso insistere su strade sbagliate. Niente Leviathan e neppure Émile, dunque.
Il baricentro è l’individuo. Tutto inizia e finisce con lui. Solo comprendendo che:
Who hath access to this universal mind is a party to all that is or can be done, for this is the only and sovereign agent[2]
si può imboccare la via subito disponibile, sia per valorizzare le qualità della singola tessera del Mosaico, il frattale chiamato Homo Sapiens, che per inserirla nel contesto del Cosmo. Potrebbe sembrare una strada d’esito dubbio, la prospettiva di un sognatore ubriaco di ossigeno sorpreso dalla malinconia ai piedi di una cima dolomitica, però pensiamoci bene: quale l’alternativa? Non ne esistono, perché lo sforzo dev’essere quello di tenere insieme due realtà contradditorie: l’irriducibile ansia di libertà dell’individuo e il suo imprescindibile bisogno di vivere in comunità. Entrambi gli aspetti sono veri e necessari, ma è solo lavorando sul singolo che si può sperare in un qualche risultato. Qualunque cambiamento nei meccanismi sociali, altrimenti, è destinato a sicuro fallimento. Anche affidandosi a un Leviathan o alla palingenesi di una Rivoluzione.
Vale la pena ricordare quanto scrisse, nel 1486, Giovanni Pico della Mirandola, pensatore originale e di valore declassato oggi a mera curiosità da cruciverba:
(…) Stabilì finalmente l’Ottimo Artefice che a colui cui nulla poteva dare di proprio fosse comune tutto ciò che aveva singolarmente assegnato agli altri. Perciò accolse l’uomo come opera di natura indefinita e, postolo nel cuore del mondo, così gli parlò: “Non ti ho dato, o Adamo, né un posto determinato, né un aspetto proprio, né alcuna prerogativa tua, perché (…) tutto secondo il tuo desiderio e il tuo consiglio ottenga e conservi. La natura limitata degli altri è contenuta entro leggi da me prescritte. Tu te la determinerai senza essere costretto da nessuna barriera, secondo il tuo arbitrio, alla cui potestà ti consegnerai (…)[3]
Liberiamo il suo pensiero dalle incrostazioni cristiane e dalla matrice neo-platonica di seguace di Marsilio Ficino e raccogliamone la straordinaria intuizione. Il punto è che ormai si deve passare rapidamente dalla comprensione, alla riflessione e quindi all’azione, in quanto, stiamo sul serio rischiando di finire arrostiti dai lampi di mille soli nucleari, accesi dalla furia conquistatrice ovvero dagli errori di quanti vogliono rovesciare l’egemone di turno: leggere gli ultimi aggiornamenti dottrinari apportati all’impiego della Bomba tanto da USA che Russia, la Cina ne parla poco ma sta costruendo un arsenale strategico di prima grandezza, è illuminante. Il tutto avviene su una Sfera Rotante comunque in fase di soffocamento, sotto il peso di un’Umanità tanto numerosa da non essere più tollerata dallo stesso Pianeta. Forse dovremmo cominciare a rivalutare Malthus. Il Numero è un altro dei problemi da affrontare oggi. Spesso la premessa di ogni altro discorso. Riflettiamoci, intanto, torneremo a parlarne in un prossimo articolo.
[1] «C’è un’unica mente comune a tutti gli individui. Ogni uomo è in comunicazione con essa e con tutto di essa. Colui che una volta è ammesso al diritto di ragione è reso libero cittadino di tutto il suo dominio.» Ralph Waldo Emerson, Saggi, I, Pietro Bertolucci (cur.), Milano, La Vita Felice, 2018, p. 26.
[2] «Colui il quale ha accesso a questa mente universale è una parte di tutto ciò che è stato e che può essere fatto, perché essa è l’unico e sovrano agente.» Ibidem.
[3] Giovanni Pico della Mirandola, Oratio de hominis dignitate, Eugenio Garin (cur.), Firenze, Vallecchi, 1942, pp. 105-109.