La notizia finora è passata inosservata, eppure in potenza apre le porte a un’autentica rivoluzione: alle prossime elezioni regionali Luca Zaia non potrà ripresentarsi candidato-presidente. Non solo. Nell’identica situazione si troverà la maggioranza dei suoi assessori, tra i quali tutti quelli di maggior peso. Alla scadenza di questa legislatura, per altro appena cominciata, il Veneto si troverà dunque orfano di chi l’ha governato negli ultimi dieci anni. Cosa accadrà?
Se per Luca Zaia gli osservatori pronosticano un ruolo politico nazionale, e sarebbe ora dico io che il Veneto potesse contare a tale livello su una personalità proporzionata al suo peso economico-culturale, è chiaro quanto una simile prospettiva spalanchi un vuoto in regione. Perché la Lega qui è Zaia e privata del suo carisma il partito avrebbe molte difficoltà a conservare le posizioni acquisite. Si tratta di un’eredità davvero difficile da raccogliere. Per chiunque.
Zaia potrebbe benissimo aspirare a guidare la Lega. È adatto sul piano personale e poi è pure l’unico ad avere maturato esperienza pluriennale di governo in una delle locomotive d’Italia. La prospettiva è tanto concreta che uno dei suoi possibili rivali, Giancarlo Giorgetti, ha già timidamente cercato di proporsi quale alternativa a Salvini. Il tentativo, come noto, è andato a vuoto, ma non c’è dubbio sia favorito dal calo costante di consensi del partito e dalla lontananza personale di Salvini, e di quanti lo circondano, da quella visione europea e atlantica la quale, invece, è il terreno naturale della maggioranza dei suoi elettori. In particolare nella Pianura Padana.
Tra l’altro, la recente offensiva di Putin contro la Polonia, a mezzo masse di migranti utilizzati quali “armi non convenzionali”, rappresenta la campana a morto di ogni suggestione “sovranista” filo-russa. Solo l’Europa rappresenta un ombrello efficace per Varsavia, ma anche per Budapest e Bratislava, contro le mire dell’Orso ridestatosi. Anche perché la retrovia adesso è Berlino, destinata a diventare nuova linea del fronte nel caso l’operazione attuata da Minsk, ma concepita a Mosca, andasse a segno. Ne vedremo delle belle in materia tra non molto con buona pace dei sovranisti di ogni declinazione.
Tornando a Zaia, vale la pena osservare come la Lega, un’ “invenzione” veneta in realtà, sia finita assorbita dall’orbita lombarda. Vengono da quella matrice Bossi, Maroni e lo stesso Salvini. Questo a dispetto non solo delle radici, ma anche della dimensione egemonica assunta nel quadrante nordorientale dal partito, a differenza di quanto succede a nordovest. Non c’è dubbio che nel Veneto il Carroccio abbia sostituito la Democrazia Cristiana d’un tempo, imitandone obiettivi strategici e stile di governo. Luca Zaia continuatore della tradizione dorotea? Senza dubbio ed è la chiave per comprenderne il perdurante successo. Nessuno come lui ha saputo ricollegarsi all’antico ceppo, reinterpretandone su base contemporanea la visione di fondo dell’esistenza, la quale poi è la stessa della maggioranza della società veneta. I risultati sono prove evidenti.
Proprio tale caratteristica, d’altronde, potrebbe rappresentare la fortuna futura di uno Zaia “romano”. L’uomo è capace di conciliare gli opposti e di incarnare il sentimento di un paese, l’Italia, in gran parte moderato, qualunque cosa l’aggettivo significhi, e per questo terrorizzato da ogni possibile novità. Risulta rassicurante. A differenza di chiunque altro nella Lega, può contare su una solida base territoriale. Reggerebbe quest’ultima al suo trasloco in un’altra dimensione? Nessuno ha la sfera di cristallo, ma non c’è dubbio che lo spostamento aprirebbe una breccia nell’apparentemente inespugnabile fortezza dello Zaiastàn. Forse si tratta della spiegazione del perché se ne parli così poco. Ovvio, invece, sia principale interesse dell’opposizione portare alla luce la realtà. Perché uno Zaiastàn senza Zaia pare ben difficile da immaginare.
All’improvviso, il Veneto potrebbe diventare contendibile. Del resto, già i capoluoghi di provincia, tutti a eccezione di Verona, lo sono da un pezzo. Persino l’antica roccaforte di Treviso. Venezia in testa. Già, ed è un altro argomento sotto traccia, il Capoluogo si troverà nell’identica situazione della Regione. Neppure Luigi Brugnaro sarà ricandidabile e non per niente il sindaco si è gettato nell’avventurosa iniziativa di Coraggio Italia. Formazione nata dall’unione di due debolezze: la sua, come politico che evita persino l’arena regionale in quanto di stazza troppo modesta, e quella di Giovanni Toti, la cui esperienza con Cambiamo è un integrale fallimento. Sotto ogni punto di vista.
Comunque sia, il dato dischiude un vuoto pure in laguna. Chi dopo Brugnaro? Avrà poi lo stesso ex-sindaco, impegnato allo spasimo nel crearsi un profilo nazionale, la voglia e i mezzi sufficienti per sostenere un “suo” candidato nello sforzo di conservare la base veneziana? Difficile, anche perché rischierebbe una dispersione delle forze davvero pericolosa, fatale con ogni probabilità alla sua semplice sopravvivenza quale soggetto politico. In ogni caso, la corsa per il Comune di Venezia e, di conseguenza per la Città Metropolitana, appare aperta come mai nel recente passato. Splendida occasione per l’opposizione di prendersi la rivincita. Specie se saprà esprimere un/a candidato/ta di spessore.
Venezia, intesa come capoluogo e comune, sta per diventare centrale nelle dinamiche politiche a ogni livello. Dalla laguna potrebbe partire un’onda lunga capace di ridisegnare gli equilibri non solo nell’Italia nordorientale, ma addirittura nell’intera Penisola. Mai come in questo momento l’inquieta fascia occidentale adriatica è il cuore delle possibili svolte future. Forse non è un caso che Carlo Calenda abbia cominciato proprio da qui il suo personale Giro d’Italia politico. A ben pensarci, a Roma ha appena dimostrato un notevole “fiuto” su queste faccende.