440 milioni di liberaldemocratici

Tanti? Certamente, visto che rappresentano l’intero corpo elettorale dell’Unione Europea (attuale). Il fatto è che sono pure inconsapevoli. Cioè, sono liberaldemocratici senza saperlo. Il che è abbastanza sorprendente. Si tratta della base di partenza dell’ultimo editoriale del direttore di Luminosi Giorni, Carlo Rubini. Secondo cui quello liberal-democratico rappresenta “il” pensiero politico per eccellenza che tutto finisce per riassumere e sintetizzare. Quindi, sostanzialmente, unico. Si potrebbe parlare di un trionfo a posteriori del Teorema Fukuyama.

Ho già avuto occasione di parlare di questo politologo, autore nel 1992del celebre La fine della storia e l’ultimo uomo. Per il pensatore americano di origine giapponese, liberal-democrazia, capitalismo di mercato e stile di vita occidentali rappresenterebbero la forma definitiva di buon governo del Pianeta. A questo punto, la Storia intesa come movimento dialettico della ricerca di uno sviluppo socio-politico migliore cesserebbe di esistere: la meta sarebbe stata raggiunta.

In pratica, Fukuyama si rivela alla fine un ottimo marxista, perché pur mutando gli esiti, trionfo della liberal-democrazia capitalistica anziché del comunismo senza mercato, arriva a delineare il medesimo scenario futuro. Vale a dire la fine della Storia. Lo stesso Fukuyama, a dire la verità, rendendosi conto della problematicità del suo assunto, già nel 1996, quindi a ridosso dell’enunciazione di partenza, nel saggio Fiducia aveva provveduto ad aggiustare il tiro. Oggi, nel 2024, possiamo guardare a tale teoria come a un parto intellettuale che la Storia si è preoccupata di smentire. Immediatamente. Perché non si tratta di un’analisi storico-politico, bensì di un’Utopia filosofica. Le due cose non andrebbero confuse. Perché ritorna?

Il mio ultimo articolo, Il sogno evaporato: la sconfitta dei migliori cercava di mettere in luce quanto fosse errato da parte di alcune forze politiche, autoproclamatesi liberal-democratiche, considerarsi una sorta di evangelico “sale della Terra […] e luce del Mondo”. Il risultato ottenuto, infatti, è stato la pura e semplice batosta elettorale. Era già successo diverse volte in passato, in Italia ma ovunque in Europa, e continuerà a ripetersi senza dubbio se non cambierà l’approccio culturale. Le ragioni sono diverse.

La prima. Considerare quello liberal-democratico l’unico pensiero politico esistente, in quanto risultante conclusiva del tragitto storico-intellettuale dell’Uomo, cioè il Teorema Fukuyama, si scontra con la realtà. Le liberal-democrazie capitaliste governano la parte meno popolata del Pianeta e pure in Europa i partiti che si richiamano al pensiero liberaldemocratico sono minoranza. Come plasticamente dimostrato dalle proiezioni grafiche sulla composizione del nuovo Parlamento europeo. La maggior parte degli elettori ha premiato altre tradizioni politiche a cominciare da quella popolare o, come si diceva una volta, democratico-cristiana. La quale ha diversi aspetti liberal-democratici, non c’è dubbio, ma se ne discosta almeno per altrettanti. Non è il liberalismo la sua origine, bensì il cristianesimo sociale variamente declinato alle diverse latitudini. Non per nulla, c’è chi insiste a parlare di “radici cristiane dell’Europa”. Non senza fondamento.

La seconda tradizione politica premiata dagli elettori è quella socialista. Indubbiamente si è molto trasformata nel tempo, ma resta comunque lontana dalla matrice liberale. Anche il direttore Rubini lo riconosce e infatti evoca per il nostrano PD una sorta di Bad Godesberg che lo allinei ai principi liberal-democratici. Dimenticandosi, però, che il celebre Congresso della SPD tedesco federale concluso con il Programma approvato il 15 novembre 1959 si era limitato ad abbandonare il marxismo e la conquista rivoluzionaria dello Stato, non certo ad abiurare all’intera eredità socialista. La quale è molto più ampia e variegata di quanto rappresentato dalla sola componente derivata dalle idee del filosofo di Treviri. Quindi, visto che questi passi sono stati compiuti già dal PCI, discioltosi in PDS e DS prima di contribuire alla nascita del PD, cosa mai dovrebbe accadere ancora?

A questa ricognizione manca ancora la terza grande trazione europea, che ha infatti scalzato numericamente il gruppo da considerarsi sul serio liberal-democratico, e cioè quella conservatrice. Robusta al punto da dover considerare la nazionalista e la cosiddetta identitaria quali sue varianti. Il pensiero conservatore solo nei paesi anglo-sassoni può venire considerato per certo liberale, ma non liberaldemocratico che è distinzione non di poco conto, perché altrove ha dato vita a esiti del tutto diversi: la Storia del Novecento ce lo racconta senza troppe incertezze.

Conclusione. “Il” pensiero liberal-democratico in Europa ha molti concorrenti e a quanto pare anche di successo. Non ha conseguito la gramsciana “egemonia” sulla società, né politica e meno ancora civile, e continua a rappresentare un’opzione, tra l’altro nemmeno troppo affascinante agli occhi degli elettori. Come mai?

Nel mio articolo stigmatizzavo l’atteggiamento di chi si considera “migliore” a prescindere e ritenga che siano gli altri a doversi sforzare di capirlo e di evolvere. Nella sua direzione, è chiaro. Bisogna rifletterci, perché la risposta data dall’elettorato a tale approccio è evidente. Questo anche senza scorrere le liste dei candidati cosiddetti “migliori”: si comprende già, infatti, come sia accaduto che Stati Uniti d’Europa e Azione, alfieri liberal-democratici d’Italia, siano riusciti a non trasmettere il proprio messaggio. O forse sì, sono stati compresi benissimo e gli elettori, che non sono stupidi anche se i “migliori” si ostinano a pensarlo, li hanno puniti. Se continuano così, mi sa che assisteremo presto ad altre strigliate.