«Dalla rivoluzione vittoriosa scaturisce, infatti, il comando del più forte, ovvero, secondo le intuizioni di Marsilio da Padova, della parte “valentior pro quantitate vel qualitate” (Defensor pacis, I, XII, 6) […] Hobbes ci sottolinea “diritto è ciò che colui o coloro i quali detengono il potere sovrano ordinano ai suoi o ai loro sudditi, proclamando in pubblico e in chiare parole quali cose essi possano e quali non possano fare” (Dialogo fra un filosofo e uno studioso di diritto comune d’Inghilterra) […, dunque] il sovrano è sciolto da ogni vincolo, che non inerisca alla propria forza […] Hans Kelsen, per il quale l’autorità giuridica è tale, quindi legittima, fin tanto che risulti effettiva; in caso contrario […] questa risulta decaduta non solo de facto, pure de jure […] “il principio della legittimità è limitato dal principio dell’effettività” (La dottrina pura del diritto, trad. it. Torino 1975, pp. 237-238.» Marco Cossutta, «Ribellione e rivoluzione: note su un possibile confronto», Max Stirner e l’individualismo moderno, Enrico Ferri (cur.), Atti del Convegno, Napoli, Istituto Suor Orsola Benincasa, 1996, pp. 324-326.

 

«La nascita del Diritto dalla Forza è destinata a rimanere un mistero, che inquieterà in eterno le menti degli sfortunati filosofi.» Karl Olivecrona, Il diritto come fatto, trad. it. Milano 1967, p. 54.

 

In Ucraina vediamo la messa in atto pratica di tali principi. Da parte di tutti gli attori, che non sono solo Russia, l’aggressore, e l’Ucraina, l’aggredito: da un lato e a vario grado d’intensità Cina, India, Brasile e tutta quella parte di Mondo che ha rifiutato di applicare le sanzioni; dall’altro erano già presenti USA e Regno Unito, ai quali si sono aggiunti Unione Europea e Occidente “allargato” alle sue propaggini in Oceania e Asia, dall’Australia al Giappone via Corea del Sud. Ogni singolo attore ha poi portato nella gestione della crisi il suo particolare “interesse nazionale”, come del tutto evidente nell’ambiguissima e onnipresente Turchia, ma pure nel caso dei Paesi Arabi in blocco e di Israele. Tutti a muoversi solo per cercare di posizionarsi nel modo migliore in vista dell’inevitabile crisi scatenata dagli eventi e in vista del futuro.

Questo spiega come mai perfino gli USA, all’apparenza grandi sostenitori senza se e senza ma di Kiev, in realtà non si siano mai spinti oltre una certa soglia. Quella probabilmente concordata con Pechino per evitare che il conflitto degenerasse in Guerra Mondiale combattuta con le armi e non solo in forma “ibrida”, com’è allo stato delle cose. I cinesi, d’altronde, sono stati i primi a non sostenere Mosca come forse questa si sarebbe aspettata.

«Non umiliare la Russia», per usare le parole del presidente francese Macròn, significa concederle una vittoria di facciata per chiudere la partita sulla base di quanto effettivamente conquistato sul terreno. Una volta si sarebbe detto «uti possidetis», cioè la formula di ogni pace tra Venezia e l’Impero Ottomano. Dopo ognuno declinerà il risultato secondo il proprio personale angolo visuale. Di fatto, il rallentamento dell’invio degli aiuti occidentali a Kiev, combinato con l’impossibilità pratica di addestrare in modo adeguato i soldati ucraini in tempi ragionevoli all’uso di armi per loro sconosciute, obbedisce a questa logica. Più di così l’Occidente non può ottenere, allo stato delle cose. Il collasso della Russia si può raggiungere per altre vie: la principale quando il suo popolo si renderà conto del prezzo pagato per allargare appena un po’ il proprio spazio. Ovvero, quanto di più abbondante in realtà già non avesse. L’Ucraina ormai è in Occidente e la guerra l’ha sancito. In ogni caso, la punta di lancia puntata su Mosca resta. Una linea posta lungo il Dniepr basta e avanza per chi si trovava sino a ieri poco a oriente dei Monti Carpazi.

Il messaggio per Mosca è chiaro: prenditi pure il Donbas e il “ponte di terra” con la Crimea e chiudiamola qui. Per il momento. Lo è altrettanto per Kiev: cedi qualcosa oltre a quanto preso dai Russi nel 2014, ora è la scelta migliore. Soprattutto per un Occidente che uscirebbe vittorioso sia sul piano militare, le sue armi e la sua organizzazione si sono rivelate incomparabilmente superiori, che politico: le democrature hanno fallito la prima spallata, le democrazie non sono affatto in crisi definitiva. Quanto meno, restano un osso duro anche perché piene di risorse. A partire da quelle economico-scientifiche.

Resta il fatto che nelle pianure orientali si è consumato il primo, vero, tentativo di rivoluzionare il sistema imperiale occidentale imperniato sull’egemonia USA. Altri ne seguiranno, perché la sfida è appena iniziata. È a questo punto che è bene ricordarsi del pensiero dei grandi maestri del diritto, da Marsilio da Padova a Hans Kelsen e Karl Olivecrona se proprio vogliamo lasciar perdere per questioni ideologiche Thomas Hobbes: se non altro per non farsi sorprendere. I trattati sono pezzi di carta, la diplomazia in sé una branca della propaganda, il diritto internazionale una favoletta che acquista contenuto solo quando qualcuno lo doti della forza necessaria. Vale per tutti, sempre e ovunque. La novità è che adesso il bersaglio siamo noi: l’Occidente.