Ho letto con attenzione le osservazioni di Dino Bertocco al mio ultimo articolo. Mi hanno fatto riflettere e vorrei che anche il mio cortese interlocutore spendesse qualche minuto su un dato di fatto: come è stato possibile che il Presidente della Regione Veneto sia stato rieletto nel 2020, raccogliendo la percentuale personale del 76,79%, pari a 1.883.959 voti espressi? Non solo. Come diavolo avrà fatto a imbastire una lista propria, che ha superato il 44,37% in percentuale pari a 916.087 voti, circa il triplo di quelli raccolti dalla seconda arrivata, cioè quella Lega alla quale lo stesso Zaia appartiene? Il tutto senza nemmeno fare campagna elettorale, perché dopo aver travolto Alessandra Moretti nel 2015, l’anno scorso ha avuto persino compassione del suo ultimo, malandato, avversario, Arturo Lorenzoni.
Scrive Bertocco: «(…) nella personalità di Zaia non brillano certo caratteristiche tali da pronosticarne un ruolo politico nazionale. Il primo a esserne consapevole è lui stesso che, verosimilmente vede e sta pianificando una sua prospettiva europea con un incarico diciamo tecnico(…).”
Quindi, deduco, la caratura personale di Zaia è così scarsa da impedirgli di pensare a nient’altro di un bel parcheggio ben remunerato da qualche parte tra Bruxelles e Strasburgo.
Aggiunge Bertocco: «(…) Matteo Salvini, al quale il tremebondo e ruffiano Presidente veneto, diversamente dall’abile e manovriero Giancarlo Giorgetti riconosce pieni poteri condividendone in pieno la strategia (…) Va aggiunto che in terra veneta nessuno rimpiangerà un (presunto) Governatore riconosciuto per la sua totale abnegazione nel curare la sua personalissima carriera ed il disinteresse per il destino dei suoi compagni di viaggio (…)»
Un uomo, provo a riassumere, intellettualmente modesto, pavido e incapace di aggregare attorno a sé adeguato appoggio da parte di quanti necessari al successo di ogni politico. Ovviamente non è stato in grado di governare la Regione, non possiede alcuna visione di lungo periodo, non ha alcuna presa all’interno della Lega, la quale è monoliticamente nelle mani di Matteo Salvini e della dirigenza di estrazione lombarda. Ogni paragone con la stagione democristiana è figlio di un abbaglio. Infine, chi come me attribuisce a Venezia possibile centralità politica nazionale per via della novità inevitabile dell’assenza sia di Zaia in regione, che di Brugnaro, nella corsa a sindaco in laguna, semplicemente, scambia i suoi sogni per la realtà. Mettiamola così, in modo gentile.
Tutto ciò spiega alla perfezione come sia riuscito Luca Zaia a spazzare via ogni e qualunque avversario e a incamerarsi nel Veneto anche la Lega. Perché, ed è notizia di questi giorni, in regione adesso esiste un intergruppo Lega-Liga Veneta e non più i due gruppi separati Lista Zaia e Lega. In altri termini, la Lista Zaia si è mangiata la Lega e non viceversa, visti i rapporti numerici esistenti tra le due (ricordo a beneficio dei distratti, 44,37% contro 16,92%, 23 consiglieri a fronte di 9). La presa di Salvini sul territorio è così ferrea che non appena ha tentato di recuperare Flavio Tosi a Verona, è bastata il no di Zaia per bloccare il tentativo. Niente male per uno descritto come «tremebondo e ruffiano».
Ogni manuale di strategia raccomanda di non commettere l’errore di sottovalutare l’avversario. Considerarlo intellettualmente modesto, interessato solo a coltivare un piccolo orticello agricolo, privo di ambizioni che vadano oltre le sagre di paese, incapace di coagulare consenso attorno alle proprie scelte, è sempre garanzia di disastro. Ne abbiamo già le prove. Il fatto che una certa politica non piaccia non significa copra il vuoto. Succedeva lo stesso con la Democrazia Cristiana, si è ripetuto analogo fenomeno con Silvio Berlusconi. È tanto reale che milioni di elettori veneti l’hanno in ben due occasioni, l’ultima in forma persino imbarazzate, dimostrato. Definire quella di Zaia la «resistibile ascesa di un Public Relation Man» può anche essere divertente, ma non spiega come mai tutti questi veneti abbiano abboccato con tanta facilità. Sono forse afflitti da stupidità congenita?
Si rivela così un altro dei punti deboli del ragionamento di Bertocco: chi agisce e vota in modo diverso da come penso io, lo fa perché non capisce. Davvero? Con un approccio simile chiunque Zaia designi a succedergli avrà vita facile. Anzi, non servirà nemmeno che s’impegna in una campagna elettorale. È appena capitato.
Vengo all’ultimo punto. Bertocco mi ritiene afflitto da una singolare deviazione del pensiero perché ritengo Venezia “centrale” nelle future sorti del paese. Invece lo è non appena si prendano in considerazione i dati. Zaia sta costruendo un suo partito, il cui modello è con ogni evidenza la CSU bavarese. Vale a dire una formazione egemonica nel proprio ambito territoriale e necessaria, per il peso che tale area possiede, su quello nazionale. Rappresenta l’alternativa alla conquista della guida della Lega. Caso mai questa dovesse fallire. Zaia, che non è per niente sciocco, si preoccupa di avere un’alternativa. Scontato, visto il consenso di cui gode nel “suo” Veneto. Il tremebondo della situazione, invece, è proprio Giancarlo Giorgetti, costretto a battere in ritirata non appena ha provato a proporre una linea diversa. Perché la sua eventuale base è la stessa su cui agisce Salvini. Base che comincia a essere nervosa. Lo sono gli imprenditori, europeisti e non sovranisti; i militanti degli inizi, secessionisti o almeno autonomisti e non nazionalisti; gli ultimi arrivati, esaltati di far parte del primo partito italiano e che ora lo vedono retrocesso e i consensi dimezzati nel giro di un anno o giù di lì. Come ben sa Giorgia Meloni. Zaia parte sì dal Veneto, ma la capitale regionale è Venezia, città sovraesposta a livello mediatico su scala mondiale. Nessuno ha fatto caso che le terme, le spiagge, le montagne, tutto nella promozione regionale sono quelle “of Venice”? Un caso?
Io non possiedo capacità divinatorie, né so qualcosa di particolare o di segreto, svolgo solo un ragionamento a partire dai dati di fatto. Questi dicono che Luca Zaia piace moltissimo ai veneti, buone o cattive siano state le sue presidenze, non è questo il punto. I veneti, però, non potranno più votarlo e lui sa bene di essere costretto a traslocare tra quattro anni. Sapendolo meglio di chiunque di noi, immagino si prepari all’evenienza. Adesso è nelle condizioni di scegliere. Dubito si metterà a fare il pensionato, per quanto con il vitalizio dorato della regione, o si parcheggerà in un posto qualunque, ma tranquillo. Opinioni. Vedremo cosa farà. Difficile non veda però che, con il consenso locale che possiede e con il peso elettorale del Veneto all’interno della Lega, può aspirare a molto. A questo punto cosa succederà in regione? Può darsi che la persona da lui appoggiata navigherà con il vento in poppa verso la vittoria. Oppure no, potrebbe non bastare. Per l’opposizione, comunque, il momento è adesso. Se lo Zaiastan resterà tale anche senza Zaia sarebbe davvero un pessimo segno.
Ragionamento analogo per Venezia comune. Infatti Brugnaro si è unito a Toti e ha dato vita a Coraggio Italia. Qualunque cosa si pensi dell’attuale sindaco e delle sue scelte o non-scelte, anche qua non è l’argomento, di fatto tra quattro anni si aprirà un vuoto. Certo, Coraggio Italia non decolla. Il tempo è ancora tanto, però pure Brugnaro ha il problema Zaia: nello stesso spazio non c’è posto per entrambi. Ottima cosa per un’opposizione che voglia tornare a vincere, almeno in laguna. E tanto per cominciare si ficchi in testa il concetto che “risultare comprensibile e credibile” è il suo non il compito degli elettori.
Venezia e il Veneto saranno il perno della politica nazionale dei prossimi anni proprio per tali ragioni. Sia che Zaia e, in misura diversa e in ogni caso per il momento imprevedibile, Brugnaro riescano o falliscano in questa porzione del paese si apriranno scenari nuovi e potenzialmente rivoluzionari. Sempre ammesso che per l’opposizione vincere sia l’obiettivo. Purtroppo il successo elettorale è indispensabile per avviare qualsiasi cambiamento d’indirizzo politico. Se si perde, ci si può anche auto-consolare con il pensiero di quanto si sia intelligenti e “nel giusto”, poi però si resta a guardare gli altri. Ancora una volta ci soccorre il pensiero strategico: sul campo di battaglia non conta chi abbia ragione o torto, ma chi alla fine della battaglia sia vivo o morto. Il resto, semplicemente, non conta. Che sia questo il segreto di Zaia?