Mes, Eurobond, Recovery Bond, solidarietà o sovranità, frontiere aperte, no, meglio chiuse, paradisi fiscali ed evasione, pizzaioli malati con lo scacciapensieri in bocca e arcigni guardiani di virtù calviniste che “rubano” tasse grazie a trattati interpretati a loro uso e consumo. Il Pianeta è travolto da pandemia, recessione presente e futura, fiumi di parole spesso sconnesse da qualunque vero ragionamento razionale. Inevitabile, viene da dire, quando ci si trovi sul crinale tra due mondi diversi con la coscienza di esserci davvero arrivati. Perché queste sono le due novità della crisi in atto: è epocale e ce ne rendiamo conto. Non sempre accade. Anzi. Il più delle volte è vero il contrario. Un mondo tramonta e un altro sorge, in genere nella completa inconsapevolezza di quanti ne sono testimoni. Spesso pure protagonisti.
È un luogo comune, oggi, affermare che domani nulla sarà come prima. Il fatto stupefacente è che è vero. Il cambiamento sarà radicale e definitivo. A meno che, prestissimo, non si trovi una cura o un vaccino sul serio efficaci e questi siano disponibili in breve arco di tempo. Sembra poco probabile. Allora, dovremo rassegnarci ai profondamenti mutamenti, spesso invocati da molte parti, ma mai davvero messi in cantiere nelle nostre menti. Semplicemente, non si potranno più rinviare.
Il primo riguarda cosa diavolo debba essere questa tanto citata e chiamata in causa Europa. Noi italiani siamo stati per decenni suoi entusiasti sostenitori. In fondo, l’utopia di un Vecchio Continente unito sulla base d’importanti valori condivisi, deve molto alle riflessioni di alcuni italiani al confino su un’isola tirrenica. Come dire, la sentiamo “nostra”. Poi sappiamo com’è andata. Più che di valori si è sempre discusso di soldi, di norme, di regolamenti e un po’ tutti i partecipanti, nel frattempo cresciuti parecchio di numero rispetto alle origini, hanno sviluppato la convinzione di “dare”, molto, e non di non “ricevere”, abbastanza. Vero o falso?
Credo sia abbastanza complicato inoltrarsi in una contabilità del genere, io voglio soltanto far riflettere i tanti critici su cosa abbia significato, per noi tutti, vivere in un Continente dove le guerre hanno riguardato solo alcune sue periferie, ma non hanno toccato sul serio la maggioranza degli abitanti negli ultimi 75 anni. Un bel po’. Per fare un esempio, la nostra Penisola deve tornare indietro fino all’età aurea degli Antonini e al pieno fulgore dell’Impero Romano per ritrovare qualcosa del genere. Sarebbe già qualcosa rifletterci.
Sono, però, infiniti i settori della vita quotidiana dove, se noi ci soffermassimo a pensare un momento, scopriremmo i mutamenti, in meglio, intervenuti grazie all’esistenza di quella strana realtà chiamata Unione Europea. E chissà quanti di noi, guardando in segreto dentro il loro portafoglio scoprono con raccapriccio di averci guadagnato. Tanto. È un po’ la stessa storia del turismo: quante alte grida e lamenti abbiano dovuto ascoltare sino a poco fa sull’invasione devastante? Et voilà, il piatto è servito. Turismo abolito. Certo, con annessi e connessi. Compresi i lauti incassi che permettevano, giusto per non andare tanto lontano, ad ACTV di chiudere un bel bilancio dopo aver fatto viaggiare un sacco di gente, i veneziani sottocosto, su una mole di battelli e bus altrimenti impensabile. Al Comune di Venezia d’incassare a sua volta una miriade di vari balzelli che, sommati, permettevano poi di pagare un sacco di altre cose. Volevano la “decrescita felice”? Eccola. Siamo felici?
Discorso del tutto analogo per l’Europa. Certo, qualcuno oggi in un’intervista a un giornale, non faccio nomi perché altrimenti in troppi neanche leggerebbero, ha detto che servono i titoli a garanzia europea, Eurobond o come diavolo li vogliamo chiamare, e bisogna pure che vengano utilizzati non in base al PIL dei singoli stati, bensì secondo le necessità degli stessi. Vale a dire, parafrasando una formula resa popolare da una filosofa marxista ungherese morta appena un anno fa, Agnes Heller, “da ciascuno secondo le sue possibilità a ciascuno secondo i suoi bisogni”. Perfetto, mi viene da dire. Ci trasferiamo allora in un campo diverso da quello dell’efficienza dell’allocazione del capitale.
Sia chiaro: dalla palingenesi eterodiretta di Grecia e Portogallo, solo per fare due nomi, i “prestatori” ci hanno guadagnato. Tutti. Invece di trovarsi nella posizione, scomoda, di chi ha lucrato per tanto tempo, approfittando delle difficoltà e della dabbenaggine altrui, investendo capitali a interesse, da usura, per fare profitti da favola e all’improvviso, quando il debitore non ce la fa, si trova a perdere il capitale usato per la sua speculazione, grazie al sistema inventato con la famigerata troika ha salvato il pregresso e guadagnato ancora. Meno, ma sempre non poco. Scorrere l’elenco di chi era coinvolto aiuta a spiegarsi molte cose.
Questa non è un’Unione fondata su valori condivisi, dove s’interviene per salvare il debole con problemi “da ognuno secondo…etc.”, non è neppure una realtà fondata sulla “diligenza del buon padre di famiglia” del nostro Codice Civile, bensì sull’elogio della rapina. Legalizzata, sancita dai trattati, ma pur sempre di rapina si tratta. È venuto il momento di cambiare, suggerisce il nostro intervistato. Sono d’accordo. Come lo sono con Agnes Heller e la sua “teoria dei bisogni”, con papa Francesco e il rifiuto della “cultura dello scarto” e per una volta anche con Beppe Grillo: basta con la storia in base alla quale se uno è stato messo al mondo povero deve combattere con il pugnale tra i denti per sopravvivere, mentre qualcun altro in virtù della casuale fortuna di essere nato ricco può discettare di arte&cultura, raccontando anche delle belle favole sul perché sia tanto giusto che le cose funzionino in questa maniera. No, i padri fondatori dell’Unione Europea, quelli che a Ventotene ne hanno sognato i valori di base, non la pensavano affatto così: e avevano ragione.
Ai ricchi di oggi, ai fortunati baciati dal caso che dall’alto dei loro troni fondati sulla miseria e gli errori altrui impartiscono lezioncine, non sarebbe male ricordare cosa succede se “gli altri” si stufano: si ribellano. E non è detto finisca proprio bene. Anzi.
Proprio per questo e ricordando che le splendide parole, Ursula von der Leyen che chiede scusa all’Italia e agli italiani, sono appunto parole, pronunciate o scritte nei trattati ma sempre semplici segni grafici, alle trattative è bene andarci preparati. Per bene. In fondo, davanti a noi abbiamo finora avuto degli usurai e come tali vanno considerati. Almeno fino a quando non si emenderanno. Quindi, il 23 aprile in sede europea o, meglio ancora, prima, ricordiamo e ricordiamoci di Mike Pompeo, segretario di stato americano, il quale ha detto e ripetuto che l’Italia non potrà mai contare su aiuti paragonabili a quelli che gli USA sono disposti a darle. E il presidente Trump ha poi confermato. Si riferiva agli acquisti massicci di titoli pubblici italiani, è chiaro, non certo ad altro. Ricordiamo e ricordiamoci che la Cina non si è sbilanciata così tanto, ma sottotraccia ha sviluppato il medesimo approccio. Anche la Russia, anche se su scala minore, e perfino tante piccole realtà. Come dire, là fuori c’è un mondo, vario e interessante che ci aspetta. Facciamolo sapere e pesare. Con i fatti. Perché nelle trattative è bene andarci con il sorriso in faccia, ma la pistola pronta sotto il tavolo. Specie con gli usurai.
Non è l’Europa che sognavano sugli scogli di Ventotene e neanche quella che avevamo immaginato in tanti, ma la strada della rieducazione degli avidi è senz’altro lunga e travagliata: è bene essere preparati a ogni evenienza.
Ps. Il 3 febbraio 2012 la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja ha condannato l’Italia su ricorso della Germania perché i tribunali italiani avevano iniziato a condannare la Repubblica Federale a risarcire i pochi sopravvissuti e gli eredi delle vittime di alcuni massacri di civili, perpetrati da truppe regolari tedesche durante la Seconda Guerra Mondiale. La ratio giuridica è stata che non esiste continuità tra Repubblica di Germania, il cui penultimo cancelliere è stato Adolf Hitler, e Repubblica Federale. Fatto accettato dall’intera comunità internazionale. Il ricorso tedesco risaliva al 2008. Non entro nel merito giuridico, diciamo che ne esiste però uno “morale”. In sostanza, la ricca Germania si è rifiutata di pagare alcunché, dopo però ha mandato suoi rappresentanti alle cerimonie in ricordo facendo loro pronunciare molte belle parole. Tra cui un “mi vergogno”. Interessante. Qualche frase tornita di meno e qualche fatto di più. Per un’idea precisa, guardate “massacro di Civitella di val di Chiana” e perdete qualche minuto a leggere come sono andate le cose. È stato per quell’evento che la Germania ha fatto ricorso. Non so se Martin Lutero avrebbe approvato.