Chi mi conosce sa come la penso. Mai avuto dubbi in materia. Sono da sempre per l’unione tra Venezia e Mestre. Posso solo aggiungere che sarei anche favorevole alla creazione di un’unica realtà amministrativa “metropolitana”, il cui spazio coincida con il cosiddetto Bacino Scolante: quindi comprenda pure Padova e Treviso. Magari estendendosi lungo la costa, dall’Adige al Piave. Se non al Tagliamento. Questo per la natura dei problemi, che richiedono un tale approccio dimensionale. Come minimo.
Non vi annoierò, però, con le motivazioni a favore del No o dell’astensione, siamo come al Senato valgono entrambe le opzioni, e voglio mettermi nei panni dei sostenitori del Sì alla separazione in due comuni di Venezia e di Mestre e vedere se, per caso, non abbiano buoni argomenti.
La prima ragione che adducono è la grande diversità dei problemi tra città d’acqua e di terraferma. I quali nascono dalla natura delle due realtà. Anfibia la prima, continentale la seconda. Peccato che proprio questa, la “natura” e aggiungo geografica, sia esattamente la stessa. Tutto quanto avviene sulla costa, da Trieste a Ravenna, finisce per coinvolgere ogni comunità e singolo che viva nell’area per una profondità minima di almeno trenta chilometri. In particolare a Venezia e Mestre.
È abbastanza ovvio, del resto. Vento e acqua ignorano i confini politici e/o amministrativi. Dilagano ovunque, indifferenti. E oggi sono vento e acqua il nocciolo della questione. Sarebbe il caso di tenerne conto.
I fautori del Sì, invece, hanno messo la sordina a qualunque osservazione di carattere scientifico importante sia stata prodotta dalla raccolta, ormai su scala mondiale, dei dati climatici. Così non fanno parola della vera, unica, grande minaccia che oggi incombe sulla costa veneta: la sommersione a causa dell’innalzamento degli oceani. Un destino che toccherà, a quanto pare, nello spazio di una trentina d’anni, continuando così le cose, tanto a Venezia che a Mestre. Per non parlare di ogni località situata nell’arco nord-adriatico fino a Padova e oltre, come nel caso del Polesine.
La sommersione, dunque. Che si fa? Davvero basterebbe dividere le amministrazioni? Un dramma di tali dimensioni sarebbe meglio affrontato se l’unico comune metropolitano fosse scisso in due? O tre, quattro, cinque, ormai si fatica a capire quante “separazioni” andrebbero a regime. Se sorrido vengo tacciato di arroganza?
Mettiamo da parte tale questione e passiamo alle altre. Le manutenzioni ordinarie della città. L’attuale comune unitario è da decenni mancante in materia, non c’è dubbio. Resta da capire se quanto non riesce alla dimensione dei circa 270.000 abitanti, dovrebbe funzionare meglio con quella dei 50.000, Venezia, e 220.000, Mestre fino a quando il vento separatista non toccherà anche Favaro-Carpenedo-Chirignago etc. Non mi sono noti casi in Italia in cui il piccolo funzioni meravigliosamente bene là dove il grande ha fallito. Anzi.
La Grande Risposta si chiamerebbe “statuto speciale”: Venezia sarebbe trasformata in un comune con poteri del tutto simili a quelli riconosciuti alle regioni autonome. Si tratta di una bufala. Significherebbe dover cambiare la Costituzione e tale modifica non avrà mai luogo perché trascinerebbe con sé una pletora di richieste da ogni angolo della Penisola. Impossibile.
Diverso il discorso di rifinanziamento della Legge Speciale, questo sì possibile. Eppure difficile quando la realtà unitaria della Laguna venisse frazionata ancor di più di quanto non sia oggi. Perché, altro elemento che manca nelle analisi dei fautori del Sì, oggi noi viviamo in una situazione in cui il comune non ha alcuna autorità neppure sulle proprie acque: è nota la questione delle multe per eccesso di velocità. Una nuova Legge Speciale implicherebbe un unico interlocutore locale. Avrebbe maggior peso, se non altro perché chi avesse voglia di sabotare non potrebbe attivare il giochetto del divide et impera. Mi sembra ovvio.
Potrei proseguire all’infinito. Sottoposto a esame non c’è argomento a favore del Sì che conservi peso. Al contrario, ogni indicazione positiva spinge nella direzione dell’unità, non solo di quella attuale ma addirittura rafforzata e ampliata. Del resto, l’Italia è oggi il paese dei 7.914 comuni. Siamo riusciti a scendere sotto quota 8.000grazie a una serie di fusioni. Ben 107 sono le provincie, purtroppo ancora in vita a dispetto di ogni tentativo di eliminarle, mentre 20 sono le regioni di cui 5 a statuto speciale: per una popolazione di circa 60 milioni di abitanti non vi sembra una frammentazione esagerata?
Abbiamo tutti festeggiato il recente taglio dei senatori e deputati approvato non senza fatica, preludio io spero all’eliminazione di uno dei due rami del Parlamento. Un grande vantaggio sotto ogni punto di vista, a cominciare da quello finanziario per terminare con quelli di ordine politico. Benissimo. Il passo successivo dovrebbe essere quello della riduzione degli enti locali: il vero bubbone che devasta la spesa pubblica e complica a non finire il funzionamento di ogni servizio, alimentando la piovra burocratica. Meno enti locali, meno centri di spesa, meno uffici “competenti, maggiore efficienza e rapidità.
Per 60 milioni di abitanti potrebbero bastare 3 regioni, nessuna a statuto speciale, 0 provincie e 600 comuni, ciascuno come minimo da 100.000 abitanti. Mi sembra evidente che non ci sia alcun posto per la divisione dell’attuale comune di Venezia in due. Domenica 1° dicembre molto meglio restare a casa.