Alex Delarge è qui: tra Venezia e Mestre più che mai Unica Grande Città. Lui e i suoi Drughi si ritrovano nei campi più affollati della Città Antica sull’Acqua. Oppure nelle nuove isole pedonali, che dovevano cambiare volto e fruizione della Città Nuova di Terraferma. Non ha molta importanza. Alex e i Drughi si muovono veloci, usano il tram, salgono su bus e vaporetti, sempre senza pagare il biglietto è ovvio, si spostano a loro agio tra strade e calli, indifferentemente.
Hanno i loro fornitori di “lattepiù”, il magnifico energetico addizionato con sostanze varie in grado di fornire la spinta a portare a compimento le grandi imprese in programma. Quali, mi state chiedendo? Siete proprio distratti. Per esempio attaccare in un rapporto di almeno 10 a 1 i primi che passano. Con inaudita ferocia. A questo serve il “lattepiù”. A dare il coraggio di azzannare lo sconosciuto indifeso e massacrarlo. Se donna, stuprarla.
Alex e i Drughi hanno seguaci ovunque. A Roma e a Catania, a Treviso e a Torino: non importa come, l’essenziale è “far male” per sentirsi vivi. Un bel cocktail di violenza&sesso. Vi ricorda Arancia Meccanica? Esatto. Solo che ci trasferiamo dalle periferie britanniche anni Settanta del secolo scorso ai centri cittadini italiani del Nuovo Millennio. Qua le cosiddette babygangs dilagano. A Venezia, Mestre, ovunque. Oppure a scuola, allora lo chiamano bullismo. Violenza&sesso, più la prima che il secondo, ma anche il secondo visto come la prima viene spessa declinata, specie in ambito scolastico, il caso Vicenza insegna.
Se le babygangs, definite in questo modo perché i componenti sono spesso al di sotto della soglia di punibilità stabilita da un legislatore ottimista in quattordici anni, se la babygangs, dicevo, sembrano voler far proprio lo stile di vita dei Drughi di Arancia Meccanica, non ci si deve nascondere che ciò può avvenire solo per la generale indifferenza etica: sempre più ripiegati su sé stessi, seguendo un soggettivismo cieco e sordo verso le conseguenze, fingiamo di non vedere. Come i due poliziotti che, spaventati a morte da un nugolo di quattordici/sedicenni, a Rialto arretrano invece d’intervenire; al pari dei tanti presenti che intanto filmano…o dei troppi insegnanti e dirigenti scolastici incapaci di capire, al pari di genitori e familiari sempre troppo impegnati a fare altro e intanto assisi sull’errata convinzione che la colpa di tutto ciò non sia dei beneamati pargoli, in prima istanza, e subito dopo loro, bensì del grande capro espiatorio della contemporaneità: la società.
È chiaro: se i familiari educassero e vegliassero, se gli insegnanti vigilassero, i vicini non girassero la testa al pari dei poliziotti le cose andrebbero meglio. Resta indiscutibile un fatto, però. Al di là di quanto pure chiarito dalle norme, le responsabilità, penali e civili ma pure morali, sono sempre individuali.
Resto un grande ammiratore dell’Illuminismo e convinto che oggi avremmo bisogno di un’ulteriore dose di massiccio “rischiaramento”. Ciò premesso, dobbiamo ascrivere al Settecento riformatore e ai suoi intellettuali più brillanti la teoria del “buon selvaggio”. Non è stato Jean-Jacques Rosseau a inventarla, ne è solo il maggiore diffusore. L’idea, comunque, che l’uomo allo stato di natura sia esente da vizi e viva in armonia con l’ambiente, dal quale si limita a estrarre il sufficiente a vivere e null’altro, mentre tutte le sue tendenze negative, prodotte dall’avidità portatrice di corruzione, li deve alla società e alla cattiva educazione da questa impartita è falsa e, come dimostra qualunque studio antropologico, peregrina. Del resto, esiste un palese salto logico nell’apparire improvviso dei vizi in comunità viventi tutte nello “stato di natura”: come e perché si sarebbero fatti largo se niente e nessuno li favoriva?
A noi, comunque, interessano le conseguenze. Perché se la società è responsabile dei disagi che inducono ai comportamenti criminali, è chiaro che il singolo cessa di esserlo. Risulta assolto a prescindere. Colpevole è la società, assurta al rango di soggetto autonomo dotato di spirito indipendente.
Tornando alla nostra Venezia, quando, per esempio, è stata ventilata la possibilità di colpire, con multe, gli acquirenti di droga, così come talvolta si è cercato di fare con i clienti delle prostitute, in molti sono insorti sostenendo che i primi, quanti comprano droga, cono “vittime” e nient’altro. Vanno quindi curati e non puniti perché subiscono un disagio causato dalla società nel suo complesso. Un ragionamento degno del “buon selvaggio”.
La responsabilità individuale scompare. Il singolo non ne ha. Non è l’acquirente a scegliere di andare dallo spacciatore, alimentando così il traffico perché senza consumatori non ci sono venditori, bensì le forze oscure in azione nel ventre marcio della società a spingere a cercarlo. Un approccio che, evidentemente, è replicabile all’infinito, potendosi applicare a qualunque forma di “comportamento”. Non per nulla viene invocato sempre anche nei casi di babygangs e bullismo: il problema è ogni volta “ben altro”. Il risultato è che la realtà non viene mai affrontata per quanto è.
Credo, al contrario, che sarebbe bene sbarazzarsi di un paradigma ideologico-filosofico germogliato nelle pieghe di un momentaneo collasso della Ragione e cominciare a chiamare con il loro nome quelli che sono semplici “atti criminali” di singoli. Più o meno riuniti in gruppi. La verità non è “ben altro” ma banale: Alex Delarge è un violento e stupratore, vuole essere così in quanto ne prova piacere, si eccita a sperimentare la propria onnipotenza sopra chi non può difendersi. Non è per niente un’inconsapevole vittima della società. E se il prete del carcere nel romanzo si dice contrario alla sua “snaturalizzazione” attraverso il programma Lodovico, perché il “Bene” dev’essere scelto dal singolo e non imposto dalla collettività, in quanto cittadino di questo segmento di mondo mi accontenterei per il moneto non facesse il “Male”. Per il Bene c’è tempo.
Forse il problema è tutto qua: abbiamo smarrito il concetto di “Male”, lo abbiamo pericolosamente relativizzato. Invece il Male esiste ed opera con continuità. Uccidere, stuprare, spacciare, rubare e via dicendo, insomma è “Male” e non c’è “modica quantità”, di sostanze, o “grande quantità”, di successo, che possano cambiare le cose. Men che meno il fatto di riuscire a farla franca. Vale anche per il fatto di riunirsi la sera per picchiare in gruppo qualcuno a casaccio. Semplicemente non esiste alcun tipo di giustificazione. Nessun disagio, né personale e nemmeno sociale, può spiegare queste scelte. Ecco il punto. Sono scelte. Come quella d’imbottirsi di sostanze psicotrope di qualunque tipo. Anche alcool. Lo fanno gli individui e i singoli ne portano la responsabilità. Con le relative conseguenze. Tutte. Su di sé. La riabilitazione viene dopo.