In questi giorni, aprendo i giornali o ascoltando i discorsi delle persone, mi capita spesso d’incrociare il concetto di “emergenza nazionale”. L’ha evocato anche il direttore di questa testata, Carlo Rubini, suggerendo per il dopo elezioni del 4 marzo la nascita di una specie di “governo del presidente”, in grado di affrontare i molti e irrisolti nodi ancora sul tappeto.
Alla base del ragionamento di Carlo, se ho ben compreso, una constatazione: in due particolari e drammatici momenti della nostra storia, dopo il crollo dell’8 settembre 1943 e durante il periodo insurrezionale noto come “anni di piombo” attorno al 1970-80, le forze politiche a vocazione nazionale hanno trovato il modo di stringere un accordo politico di fondo per portare il Paese fuori, appunto, dall’”emergenza”.
Siamo oggi nelle stesse condizioni di allora? Carlo, che in materia è in ottima compagnia, dice di sì. Le ragioni sono molte ed evidenti, per cui le sorvolo. Quindi, la risposta non può che essere la stessa: serve uno sforzo dei principali attori politici per salvare l’Italia e avviarla lungo una nuova rotta.
Quale lo schieramento individuato da Carlo, e con lui da quanti sostengono tale ipotesi? In buona sostanza, ma semplifico brutalmente, Pd-Forza Italia-alleati centristi con vocazione nazionale. Nell’ipotesi, abbastanza probabile con la nuova legge elettorale, che questi tre soggetti mettano insieme la maggioranza delle due Camere, dice Carlo, dovrebbero trovare l’accordo politico necessario. Sarebbe una riedizione dei governi “istituzionali” del 1943 e di “solidarietà nazionale” degli anni Settanta.
L’ipotesi è senza dubbio interessante e merita di essere esaminata. Lo farò utilizzando gli strumenti della Storia, cercando di ricordare quanto avvenne in quelle prime due occasioni che fungeranno, quindi, un po’ da “caso di studio”.
Nel 1943 ci troviamo nel pieno della Seconda Guerra Mondiale. Mussolini ha schierato l’Italia sul lato sbagliato, sotto qualunque punto di vista a cominciare da quello geostrategico, e il paese è invaso dagli Anglo-Americani. La Monarchia sabauda cerca una soluzione di sopravvivenza, soprattutto per sé stessa, e la trova nel proprio passato: sulla scorta di una plurisecolare esperienza in materia, tenta un audace “rovesciamento delle alleanze”.
L’operazione fallirà, l’Italia sarà considerata sino alla fine “potenza sconfitta” e come tale penalizzata nei trattati di pace. Solo l’intervento americano permetterà di mitigare, in buona parte, la vendetta britannica e francese, mentre la presenza in Italia di un fortissimo Partito Comunista e la nebbia del sospetto sulle reali intenzioni dello “jugoslavo” Tito faranno sì che anche Stalin usi la mano leggera. Sull’Italia ha altri progetti.
La svolta avviene nel gennaio 1944. Su iniziativa dell’allora Segretario generale del ministero degli esteri, Renato Prunas, e su probabile impulso della Corte, che si è resa conto del “problema Badoglio” incapace di concludere un accordo con il CLN presieduto da Ivanoe Bonomi, la diplomazia italiana riesce a raggiungere un’intesa con il rappresentante russo nella Commissione Interalleata di Controllo, Vyšinskij: Palmiro Togliati può rientrare in Italia, il Partito Comunista entrerà nel Governo.
Seguirà la cosiddetta “svolta di Salerno.” I comunisti diventano parte essenziale del primo e secondo esecutivo Bonomi, assieme a popolari, liberali, socialisti e azionisti. Togliatti e Nenni s’impegnano in prima persona con De Gasperi e Saragat garantendo così l’appoggio a quello che è diventato a ogni effetto un “Governo Istituzionale”: suo compito traghettare il Paese verso la fine della guerra e preparare a questo punto la scelta della forma di governo.
Al primo governo Bonomi ne segue un secondo e quindi il governo Parri, cui succede il primo governo De Gasperi. Siamo, però, ormai nella fase delle trattative di pace. Di fatto, l’alleanza tra liberali, cattolici, comunisti, socialisti e azionisti riesce nell’impresa di salvare l’unità del Paese, conclude la transizione da Monarchia a Repubblica e sottoscrive trattati di pace da “sconfitti”, ma non penalizzanti come avrebbero potuto essere.
Soprattutto, la solidarietà di visione politica generale, permette di sfruttare le divisioni degli Alleati a vantaggio dell’Italia. De Gasperi gioca la carta americana, molto bene, e Togliatti riesce a fare altrettanto con la Russia.
Insomma, non c’è dubbio che il persistere nel nostro Paese dei partiti, per così dire, “americano” e “russo” risalga addietro nel tempo e si nutra di ragioni importanti.
E negli anni Settanta?
L’Italia è di nuovo terreno di scontro. Questa volta, però, protagonisti ne sono proprio loro, “americani” da un lato e “russi sovietici” dall’altro. Siamo nel momento di svolta della Terza Guerra Mondiale più nota come “Guerra Fredda”, che poi fredda non è stata affatto.
Messi in crisi dall’off-set strategy americana, resa popolare dall’espressione “corsa agli armamenti” che li costringe a rincorrere l’asticella del continuo potenziamento militare senza essere in grado di reggere il passo del potenziale industrial-finanziario dei competitori, i russi provano a destabilizzare dall’interno la Nato. Scatenano le discordie civili all’interno dei paesi membri.
In una prima fase hanno buon gioco, perché possono sfruttare il momento favorevole: le ingiustizie sociali e la crisi del modello culturale dominante hanno già infiammato quelle realtà. La rivolta giovanile si è saldata con l’anti-militarismo alimentato dalla vicenda del Vietnam, l’ansia di riscatto che proviene dal cosiddetto Terzo Mondo brucia assieme alla dissoluzione dei residui coloniali, il Pianeta sta cambiando dalle radici.
Dalle parti di Mosca pensano di sfruttarne il moto per incanalarlo ai propri fini geopolitici. In qualche misura ci riescono. Dalla Francia alla Germania, dalla Spagna all’Italia, in modo particolare in Italia le varie intelligence combattono la loro battaglia usando il braccio armato di singoli e gruppi. A volte sono abbastanza numerosi e decisi a rinverdire le speranze di quello che nel nostro Paese era stato chiamato nel, 43-45, il “vento del Nord”. Sarà adesso, trent’anni dopo, Rivoluzione?
L’Italia si trova sul Rimland, ho scritto qualche tempo fa. Cioè sulla fascia costiera dell’Isola-Mondo al centro del Pianeta rappresentata dal blocco continentale euroasiatico. È parte di questo blocco pur essendone frontiera, a mollo com’è nel Mediterraneo. Inevitabilmente, è luogo prediletto da chiunque per regolare i conti con gli avversari. Per questo, nel passato, l’Italia è stata “per secoli divisa”: un’Italia unita e forte sarebbe un problema. Per tutti.
Negli anni Settanta torna a proporsi il problema già affrontato tra il 1943 e il 1947: torniamo a essere un “paese al bivio”, un campo di battaglia dove ci si scontra anche a colpi di attentati, bombe, omicidi. Perché queste sono le armi delle cosiddette “guerre civili”. Se ne rende conto una classe politica non per nulla figlia di quella capace di salvare il Paese verso la fine della Seconda Guerra Mondiale. Spesso, pensiamo ad Amendola ma anche ad Andreotti, di quella stagione sono stati protagonisti.
Quale sarà la risposta? La nascita della “solidarietà nazionale”. Sarà Enrico Berlinguer, non a caso uno dei maggiori statisti italiani del periodo, assieme a socialisti-socialdemocratici-repubblicani a garantire la non-opposizione al terzo governo Andreotti, il 29 luglio 1976.
Guardiamo bene: si tratta esattamente delle stesse forze politiche protagoniste del primo governo Bonomi nel 1944. Troviamo presenti ancora molti di quegli uomini e i più giovani ne sono eredi, in particolare culturali.
Tra il 1976 e il 1978 si consuma il tentativo, del tutto analogo al suo predecessore illustre, di portare il Partito Comunista all’interno del governo. Sarebbe stato il capolavoro di Aldo Moro, verrà stroncato dalle raffiche di via Fani sparate dagli “utili idioti” delle Brigate Rosse: in una futura storia dell’imbecillità politica Curcio, Moretti, Gallinari & Co meriteranno senz’altro un posto d’onore.
Manovrati dall’esterno e incapaci di comprendere cosa stia davvero succedendo, fermeranno così il passo che avrebbe potuto avere la maggiori e migliori ricadute per il Paese. In un certo senso, ne scontiamo le conseguenze sino a oggi.
In qualche modo, comunque, e grazie alla vittoria americana nella Terza Guerra Mondiale, che frantuma il Patto di Varsavia e allontana fino alle pianure ucraine la frontiera calda con la Russia, l’Italia ha retto lo stesso.
Torniamo al presente, però. Carlo Rubini suggerisce una formula analoga, sempre se ho ben compreso, per affrontare l’emergenza attuale. Pd-Forza Italia-Centristi dei due Poli a sostituire DC-PCI-PSI-PSDI-PRI. Per fermare l’onda populista antisistema, antieuropea, antitutto. Per cercare di risolvere una volta per tutte i tanti problemi reali che negli ultimi vent’anni, eh già il tempo passa, nessuno ha mai avuto la forza di fronteggiare.
L’idea è suggestiva e, nello specifico, ha un solido fondamento storico: perché i due casi esaminati, Quarantatre e Settantasei, non sono gli unici. Potrebbe funzionare. Forse è anche davvero l’unica concretamente praticabile. Dipenderà dalla statura di statista che sapranno raggiungere i politici protagonisti della scena attuale. In particolare Renzi e Berlusconi. A quanto pare gli uomini che tengono in mano le chiavi della possibile risposta.
Certo, senza mai dimenticare che l’Italia “balla sul Rimland”: oggi più che mai. Perché il Mediterraneo è tornato, come in passato, il mare al centro del Mondo.