È notizia recente: il presidente della repubblica e segretario generale del partito comunista cinese, il “quasi” onnipotente Xi Jinping, ha lanciato in pompa magna il progetto “Nuova Via della Seta.” Vale a dire, un complesso di iniziative in vari campi e ambiti volte a migliorare collegamenti e cooperazione tra i paesi appartenenti alla comune sfera euroasiatica. Come dire, una rivoluzione per l’intero spettro dei rapporti geostrategici su scala mondiale.
Tutto ciò riguarda direttamente l’Italia, uno dei terminali tradizionali delle antiche “vie della seta” ovvero del reticolo di rotte terresti e marittime che sin dall’Antichità ha unito Occidente e Oriente dell’Eurasia. La quale Eurasia, dovrebbe essere ovvio, è divisa artificialmente da ragioni geopolitiche in due entità fittizie, Europa e Asia, in realtà formanti un unico “blocco continentale.”
Uso l’espressione non a caso. Da sempre la lotta per la supremazia mondiale si è svolta tra “potenze marittime” e “terrestri” e la strada del successo è passata dal controllo delle grandi rotte commerciali. Il commercio rappresenta la linfa del Pianeta, chi riesce a favorirne od ostacolarne il flusso lungo arterie e vene del vasto e articolato sistema di vasi attraverso cui scorre, in via automatica, ne diventa Signore.
Natura della Terra e tecnologia hanno voluto che, sino a oggi, il successo abbia arriso a chi riusciva a impadronirsi delle vie marittime. Perché il trasporto via mare di merci e uomini è sempre stato predominante su quello via terra. Quindi agli stati capaci di esercitare vero “potere marittimo”, che si basa su flotte militari e mercantili, catene di basi, infrastrutture logistiche, industriali, finanziarie. Tutto quanto autoalimentato da una sorta di circolo virtuoso.
E gli altri? Storicamente, le potenze terrestri hanno finito per perdere. Pochi i casi vittoriosi. Tra i più clamorosi quello di Roma che ha, comunque, acquisito il dominio del Mediterraneo attraverso un sistema ingegnoso quanto artigianale ed efficace: spedendo le legioni a conquistare tutte le coste.
In fondo è quanto ha in mente Napoleone Bonaparte quando cerca di soffocare il commercio britannico, vera fonte del potere marittimo inglese, più meno attraverso il medesimo sistema. Chiudendo, cioè, l’intero spettro dei porti di scambio. Si tratta di una variante del suo geniale piano del 1798 quando, quasi a imitazione di Alessandro Magno, pensa di tagliare le radici della potenza nemica marciando via terra fino all’India. In entrambi i casi fallisce. Perché?
Per le stesse ragioni per cui dai tempi di Roma in poi è diventato impossibile attuare tale strategia: il trasporto via mare resta incomparabilmente superiore a qualunque altro, in termini di quantità e sicurezza, vale a dire di economicità. Da quando le navi solcano gli oceani il divario è diventato incolmabile.
Il 25 gennaio 1904 in un articolo intitolato The Geographical Pivot of History (Il perno geografico della storia), il pensatore statunitense Halford John Mackinder sostiene che luogo geografico, contesto storico e tradizioni di un popolo siano i tre elementi invariabili da valutare per ottenere la vittoria finale. Allo stesso tempo, individua nel treno il mezzo di trasporto che scalzerà la nave dalla sua posizione privilegiata. Combinando i due elementi, perno geografico e treno, arriva alla conclusione che l’Eurasia, chiamata isola-Mondo perché in via di principio autosufficiente, è destinata a riprendere il sopravvento, perduto a vantaggio delle potenze marittime. Questo per la sua posizione, è ovvio, ma anche perché il treno annullerebbe il vantaggio sin lì detenuto dalla nave. Eurasia o, per meglio dire, la sua potenza egemone e cioè la Russia, zarista prima e sovietica dopo. Da qui, dall’Heartland, diventa inevitabile arrivare al controllo del Pianeta. Per lui, americano, bisogna trovare il modo per “contenere” l’inarrestabile marcia di San Pietroburgo-Mosca, giudicata comunque inevitabile.
Si sbagliava, com’è evidente. L’Heartland sarà anche il perno geografico della storia, per così dire, ma il treno ha fallito nella sua missione di sconfiggere la nave; Heartland non è autosufficiente, soprattutto dal punto di vista tecnologico, e comunque è circondato dall’acqua… che i veneziani gli avrebbero insegnato unisce e non divide…
Sulla traccia di Mackinder, negli anni Trenta del Novecento, Nicholas John Spykman arriva a conclusioni diverse: il Pianeta sarà dominato non dall’Heartland, bensì da chi riuscirà a imporre la propria egemonia sul Rimland ovvero sulla fascia di territori, tutti costieri, attorno a esso. Spykman divide questo Rimland in tre macroaree e cioè costa dell’Europa, del Medio Oriente, dell’Asia. Questo, dunque, è il vero perno della storia, in inglese “pivot”.
A differenza di quella di Mackinder, la teoria di Spykman ha precisi riscontri in campo storico. È a partire dal Rimland, infatti, che la Francia, prima borbonica e poi napoleonica, parte all’attacco nella sua bisecolare lotta contro le potenze marittime, Olanda e Gran Bretagna. Ed è attraverso la ricerca dell’egemonia europea che prova ad avere la meglio sulla superiore dimensione navale degli avversari. Non solo. In particolare con il “blocco continentale” di Napoleone, che non a caso deve includere la Russia, arriva al punto massimo di perfezione della teoria.
Identico percorso seguirà la Germania, imperiale guglielmina e quindi nazista. Entrambe attratte, fatalmente, dalla “spinta a Est” destinata a completarne la dimensione altrimenti insufficiente o a perderle. Si perderanno. Il Giappone del Tenno nella prima metà del Novecento tenterà qualcosa di simile, sfruttando però la “via marittima”: finirà, come noto, per scontrarsi e schiantarsi contro il gigante navale del nostro tempo e cioè gli USA.
Si potrebbero fare altri casi minori, a cominciare dalla Svezia del breve sogno Wasa, tuttavia non può sfuggire che Venezia e l’Italia si trovino proprio lungo l’anello del Rimland. L’aveva ben capito la repubblica Serenissima che, pur non coltivando sogni di potere mondiale, aveva comunque capitalizzato al meglio la posizione geografica, facendone un uso spregiudicato per esaltare la propria dimensione strategica. Certo, giocando da potenza navale. D’altronde, il “dominio del mare”, per usare l’espressione cara al grande teorizzatore della materia e cioè Alfred Thayer Mahan, si concretizza in particolare nel controllare i cosiddetti “mari ristretti”: non c’è dubbio che questa sia stata la grande strategia dell’impero marittimo veneziano.
Torniamo al Rimland, però. La progettata “Nuova Via della Seta” s’inserisce senza dubbio in questa prospettiva. Per la Cina le strade verso il dominio del Mondo sono due: o conquistare la supremazia navale, strada lunga e difficile che passa attraverso una corsa agli armamenti contro gli USA sul tipo di quella tentata dalla Germania di Alfred von Tirpitz con la Gran Bretagna, oppure… tentare di imporre la propria egemonia a partire dal Rimland. Cioè dal luogo dove si trova buona parte, la più ricca e avanzata tra l’altro, della Cina stessa.
Il tentacolo cinese, cioè, tenta di imitare il Giappone del Tenno con una variante importante: sfrutta il maggiore peso economico e finanziario per crearsi una cintura di “clienti” strettamente vincolati e pronti a difendere gli stessi interessi. Diventati ormai comuni.
E l’Italia? L’insegnamento di Venezia torna molto utile. L’Italia occupa una posizione geostrategica chiave, la stessa di Venezia in un certo senso anche se in un contesto diverso, ed è snodo e porta di accesso della massima importanza. Nessuno che miri al controllo del Rimland può fare a meno dell’Italia. Allo stesso tempo, è primario interesse dell’Italia, come già di Venezia, d’alimentare la competizione tra le superpotenze, evitando che una di esse diventi egemone nel Rimland.
Non solo, deve puntare attraverso il confronto tra i competitori ad allargare il proprio spazio, liberandosi anche delle limitazioni alla propria sovranità imposte dalla superpotenza marittima, gli USA. Accettate perché ritenute contropartita della garanzia data alla propria sicurezza.
Così come Venezia per la maggior parte della propria storia, tranne gli ultimi disgraziatissimi ottant’anni, oggi l’Italia deve prendere coscienza della propria importanza: ha un ruolo chiave che può essere trasformato in fonte di benessere. Avete presente il Canal Grande? Come credete che siano stai costruiti tutti i palazzi che vi s’affacciano?
… ah, sì, ovviamente poi non bisogna dimenticare che quelli stessi palazzi erano difesi da flotte di galee e vascelli senza pari… nell’abilità e nella ferocia. Si vis pacem para bellum, vale nel Rimland e ovunque. Sempre.